Daniele scrive una sua versione di Pinocchio creando dei parallelismi tra le avventure del burattino di legno, che desidera essere “normale” come gli altri bambini, e le sue esperienze negli istituti, nelle scuole speciali e nelle scuole pubbliche alla ricerca di una sua “normalità” e della partecipazione alla società.
Negli anni ‘80, quelli della sua infanzia, le regole negli istituti erano ferree e improntate soprattutto all’ordine e all’omologazione, invece che all’educare, inteso come svelamento della vera natura interiore e del potenziale di ragazzi e giovani adulti. I bambini, come burattini, erano gestiti dagli educatori che a volte venivano vissuti come dei Mangiafuoco, severi e benevoli; nel testo di Daniele appaiono compagni come il Gatto e la Volpe, perfidi e ingannevoli, oppure come Lucignolo, complici e maliziosi, che ti aprono al mondo.
Una società all’interno della società, nascosta tra i muri di un edificio, dove imparare a sentirsi e ad ascoltarsi non era parte del programma educativo.
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