C’è una fotografia della Seconda guerra mondiale che mi agita qualcosa nel cuore ogni volta che la guardo: l’immagine ci mostra una catasta di mattoni sparpagliati, carabattole, travi e tubi, una nuvola di sporco, una casa sfasciata da un bombardamento, polverizzata, come se si fosse seduta su se stessa, crollando. Ma tra due mezze pareti miracolosamente in piedi, esce un bambino che regge una gabbietta. Nella gabbietta c’è un canarino. Vivo.